"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico.
La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare".
Piero Calamandrei

mercoledì 31 luglio 2013

È come sangue e non va via


Di Antonella Beccaria

È come sangue e non va via
2 agosto 1980: la strage, le vittime e la memoria




Anche quella di cui si parla in questo libro è una ferita della storia. Ma lo scopo, questa volta, non è raccontare le vittime delle istituzioni, ma le persone comuni – erano ottantacinque – che il 2 agosto 1980 entrarono in una stazione per non uscirne più. E raccontare anche dei duecento feriti che si sono rialzati conservando a vita, dentro e fuori, le cicatrici impresse da quei fatti.

mercoledì 24 luglio 2013

Cosa Grigia. Una nuova mafia all’assalto dell’Italia



La mafia non esiste.
Adesso c'è una nuova cosa, non più "Cosa Nostra" ma "Cosa Grigia".
Abbiamo imparato una nuova terminologia ma ancora probabilmente non siamo riusciti a capire di cosa si tratta. Quella “borghesia mafiosa” di cui parlava Umberto Santino è passata di moda, forse, e quella “Cosa Grigia” è qualcosa di più contemporaneo dove nemmeno la vera Antimafia è attrezzata per questo.

“Cosa Grigia” non si fa mancar nulla, gioco d’azzardo, compro oro, fino ad arrivare al profondo nord e cogliere in pieno il disagio di una “certa” antimafia tra racconti, storie e quell'inconfondibile ironia che lo contraddistingue e che serve per andare avanti.
Cosa Nostra era bianca o nera con qualche sfumatura di grigio. Adesso il colore è confuso,
è tutto grigio. Di chiarezza ne abbiamo poca e il "grigio" si è diffuso, ha offuscato tutto.
Il grigio dell'informazione, della politica, dell'antimafia.

La mafia non esiste.
Questa nazione, per accorgersi, che un altro Stato occupava il suo territorio ci ha messo troppi anni.
“Cosa Grigia” di Giacomo Di Girolamo non si fa mancar nulla, gioco d’azzardo, compro oro, fino ad arrivare al profondo nord e cogliere in pieno il disagio di una “certa” antimafia.
La mafia non esiste ci ripetevano. Non è esistita fino agli anni '80 e ci sono volute delle morti eccellenti per legiferare sull'argomento. Siamo fermi agli anni 90. Alle stragi.
Cosa Nostra è andata avanti, ha fatto il salto di qualità.
Se prima uccideva, minacciava, sparava, per qualche pezzo di territorio, oggi, compra, ricicla, comanda.

La mafia non esiste.
 Si è fatta Stato. Prima poteva contare su un Ciancimino o un Lima qualunque, oggi è diverso.
Oggi conta su un sistema di potere che si basa non sul "singolo" ma sulla "collettività".
Cosa grigia non fa rumore, preferisce il silenzio. Meno se ne parla meglio è.

”I nuovi capi di Cosa Grigia non sono al servizio della mafia, ma hanno la mafia al loro servizio”.
Giacomo Di Girolamo, iniziando dalla sua Marsala, intraprende un viaggio per l’Italia, risalendola come “la linea della palma”, ricostruendo storie, personaggi e vicende legate ai vari territori per poi tornare nella sua Sicilia.
La mafia non esiste, e nemmeno la palma. “Perché c’è il punteruolo” che le ha divorate, ed è Cosa Grigia.


Il Saggiatore, pagg 281, 16,50 euro
 Qui per acquistare il libro

mercoledì 17 luglio 2013

I beni confiscati nella provincia di Rimini


                                                            Scaricalo da qui (clicca)

A Rimini la mafia non c’è. Ci sono le mafie. Tante. Troppe. Qualcuno ancora non lo sa, altri lo negano, altri ancora non vogliono saperlo. Poi c’è chi, come il Gruppo Antimafia Pio La Torre, lo sa benissimo. Lo sanno bene quei ragazzi e lo denunciano. Hanno raccontato le operazioni delle forze di polizia, gli arresti, i processi. Uno di loro, Patrik Wild, ha addirittura elaborato una tesi di laurea (295 pag eh…)  sulle presenza delle mafie nella riviera romagnola. Le mafie a Rimini ci sono. Le mafie a Rimini ci sono e fanno affari, riciclano, sparano ma si concentrano anche sul gioco d’azzardo, le estorsioni e lo spaccio di droga anche se il contesto riminese differisce dalle altre città dell’Emilia-Romagna dove è più radicata la criminalità organizzata.
Nei giorni scorsi il GAP ha pubblicato un dossier, a cui ho dato un mio piccolo contributo, sui beni confiscati alle organizzazioni criminali di stampo mafioso a Rimini e non solo. Quella che Pippo Fava definiva la più grande lavanderia d’Italia conta ben 112 beni confiscati tra immobili e aziende. Certo, poca roba rispetto alla Sicilia o alla Lombardia se vogliamo guardare tra le regioni del nord ma sono numeri alti e preoccupanti. Del resto l’Emilia-Romagna è da sempre terra di mafie.  Lo sa bene Giovanni Tizian, giornalista, che da anni racconta e denuncia il territorio ed il radicamento delle mafie in regione e per questo è costretto a vivere sotto scorta. Tizian ha contributo con degli approfondimenti alla realizzazione del dossier, e con lui anche Federico Alagna e Edoardo Targa hanno impreziosito il lavoro del gruppo Antimafia Pio La Torre.
Il lavoro del Gruppo Antimafia Pio La Torre è il più importante fatto finora sull’argomento nel riminese. Lavoro fatto di sane passione civile, ricerca e informazione. Un lavoro “dedicato” alle istituzioni ma anche ai cittadini che vogliano informarsi e prendere coscienza che le mafie possono essere sconfitte soltanto “se ognuno di noi fa qualcosa”. Hanno denunciato l’annosa questione della gestione dei beni, hanno tracciato un profilo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati e si sono occupati della penetrazione delle mafie allogene per chiudere con un esempio di “buona pratica” in termini di riutilizzo sui beni confiscati: l’avventura della Cooperativa Lavoro e Non Solo di Corleone. Un prezioso lavoro, da leggere e diffondere, perché oltre all’insegnamento di Pio La Torre sull’aggressione dei patrimoni mafiosi la cultura e la conoscenza sono le armi più potenti per contrastare e sconfiggere le mafie e le loro zone grigie.

mercoledì 10 luglio 2013

Bologna, it's a long long road



“Oramai stremata dalle continue violenze fisiche poste in essere da B. nei miei confronti, acconsentii di prostituirmi per B.  Nei primi tempi dell’attività prostituiva tentavo di tenere per me il denaro guadagnato ma una volta che arrivavo a casa venivo sistematicamente perquisita da B., la quale mi toglieva tutto il denaro guadagnato, […] dopodiché mi picchiava selvaggiamente con calci e pugni” ¹

Le violenze nei confronti di questa donna nigeriana sono continuate fino ad arrivare al punto di lanciarla fisicamente fuori dal balcone, nel momento in cui la stessa si rifiutò di consegnare il denaro derivante dalla prostituzione,  provocandole fratture multiple. La donna, dopo essersi rialzata, invece di darsi alla fuga, è tornata dai suoi aguzzini per paura del “voodoo”, chiedendogli di liberarla dal rito africano a cui l’avevano sottoposta a conferma della perfezione del “metodo”.

Tutto questo accade a Bologna, dove basta fare un giro con gli amici in una qualunque sera bolognese per accorgersi del traffico sui marciapiedi dei viali che circondano il cuore della città, qualche sorrisino, un battuta ed a volte anche qualche insulto (diciamoci la verità) senza immaginare quello che si nasconde dietro il terribile giro della prostituzione,  fonte di grande ricchezza per la criminalità organizzata.
Un business, nazionale, che frutta circa 90 milioni al mese dove il 20 per cento delle donne che si prostituiscono è minorenne.
Il reato di sfruttamento della prostituzione è, quasi sempre, è un reato-spia della tratta di essere umani e riduzione in schiavitù delle vittime, in Emilia-Romagna è frequente l’individuazione di questo fenomeno e ad avere il domino è la mafia albanese.

A Bologna, la maggior parte delle donne che esercitano la prostituzione è di nazionalità rumena, circa il 50%, il quadro è completato da donne provenienti dall’est Europa (albanesi, ucraine, moldave) e in misura minore nigeriane, sudamericane e cinesi. Di quest’ultima categoria, però non si può parlare di prostituzione di strada, poiché il rapporto, seppure parziale, si consuma all’interno di centri estetici e di massaggi.
Oltre allo sfruttamento della prostituzione, le reti criminali si dedicano al traffico di esseri umani e al controllo “del marciapiede”.
Altro elemento caratterizzante nel  quadro del “mercato” bolognese della prostituzione, di strada e indoor , è la presenza di transessuali, italiane e sudamericane, la cui comparsa è stata registrata negli ultimi anni.

Sono presenti, in gran numero, nella zona Fiera: su Via Stalingrado, Viale Aldo Moro, e stradine adiacenti. Abitualmente le ragazze scendono in strade in piccoli gruppi e,sorvegliate, hanno l’obbligo di consegnare per intero il ricavato della serata. Solo in casi sporadici riescono a trattenere una piccola percentuale del guadagno che viene concessa soltanto dopo un periodo di prova, più o meno lungo. Puntualmente, casi di cronaca nera discutono delle violenze, fisiche e psicologiche, a cui queste ragazze sono soggette, da parte dei macrò.

Dai “viali” alla periferia, la prostituzione di strada è l’ultimo anello di una catena molto lunga..
“It's a long long night
It's a long long time
It's a long long road
Ebano..”


[1]              Fonte: Procura della Repubblica, Tribunale di Bologna, sezione DDA, 13/04/2012 

mercoledì 3 luglio 2013

Ustica: perché?



"Perchè chi sapeva è stato zitto? Perchè chi poteva scoprire non s'è mosso? Perchè questa verità era così inconfessabile da richiedere il silenzio, l'omertà, l'occultamento delle prove? C'era la guerra quella notte del 27 giugno 1980. C'erano 69 adulti e 12 bambini che tornavano a casa, che andavano in vacanza, che leggevano il giornale, che giocavano con una bambola. Quelli che sapevano hanno deciso che i cittadini, la gente, noi, non dovevamo sapere: hanno manomesso le registrazioni, cancellato i tracciati radar, bruciato i registri; hanno inventato esercitazioni che non erano mai avvenute, intimidito i giudici, colpevolizzato i periti e poi hanno fatto la cosa più grave di tutte: hanno costretto i deboli a partecipare alla menzogna, trasformando l'onesta in viltà... Perchè?" 


27 giugno 1980, dopo due ore di ritardo il volo IH870 alle 20:08 decolla da Bologna, destinazione Palermo. Un aereo che non giungerà mai nel capoluogo siciliano.
Uno squarcio nel cielo ed 81 innocenti che affonderanno insieme al DC9 nel mare di Ustica. Un’andata senza ritorno. Un disastro mai chiarito.
Bologna e Palermo, due città unite dal destino di quell’aereo ed una verità che ancora oggi manca.
Una storia tutta italiana questa, una storia fatta di servizi segreti di tutto il mondo, alti ufficiali, politici, morti improvvise. Un aereo “disperso” e troppi punti interrogativi, domande a cui mancano, ancora oggi, dopo trentatre anni, delle risposte.

Le prime voci nei giorni successivi al disastro parlavano del DC9 come abbattuto da un missile francese o americano. Ipotesi, solo ipotesi. E una domanda che forse in questi 33 anni non ci siamo fatti. Ci siamo chiesti come andarono le cose nei cieli di Ustica senza chiederci il perché.
Numerose indagini, decine di perizie, strani ritrovamenti, registri scomparsi, pagine dei rapporti radar strappati. I morti per la strage di Ustica sono quasi cento tra i passeggeri del DC9, i suicidi che si impiccano prima di essere sentiti dal giudice, gli incidenti stradali e aerei e le altre morti avvenute in circostanze poco chiare e misteriose. Dubbi e misteri avvolgono quella notte del 27 giugno 1980.
Di depistaggi la storia del nostro paese è piena ma su Ustica i pezzi mancanti sono tanti, troppi.
In Italia ci sono state tredici stragi, escluse quelle di mafia. In tutte  non si è arrivati ai mandanti, in tutte abbiamo avuto i servizi segreti che hanno cercato di depistare.
Una sola volta, per via giudiziaria, si è avuta la condanna dei mandanti: nel caso della strage di Bologna. Ma anche lì la verità è un miraggio.
L’Italia è un paese con la fobia della verità ma Ustica, forse, rappresenta un quadro fuori posto nella stanza dei misteri.

“L’incidente è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente un atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto” scrive nell’ordinanza-sentenza il giudice istruttore Rosario Priore.
Uno scenario militare che è stato sempre negato da tutti, nonostante il documento Nato del ’97 abbia certificato che quella sera in volo c’erano 21 aerei militari, di cui 5 sconosciuti, e gli altri americani e inglesi. La Nato parla anche di “tracce radar” di una portaerei nel Mediterraneo.
Nelle scorse settimane un ex pilota Alitalia (all’epoca Ati) aveva raccontato ai magistrati di aver visto "Una flottiglia di navi con una portaerei e almeno altre tre-quattro navi”, tutto confermato poi anche da un ex hostess Itavia “vedemmo quella nave circondata da altre, il giorno prima della sciagura”.
La Saratoga a stelle e strisce, secondo il Pentagono, è rimasta ormeggiata a Napoli ed anche i francesi, hanno sempre negato che le loro portaerei fossero nella zona dove si è inabissato l’I-Tigi. In entrambi i casi però ci sono delle stranezza nei diari di bordo inerenti alla data del 21 giugno 1980.
Sulla vergogna di Stato che è Ustica, la magistratura italiana, ha prodotto enormi sforzi: 4.000 testimoni, diverse rogatorie (che hanno evidenziato una mancata collaborazione internazionale) e quasi trecento udienze processuali.
L’unica tesi accertata, tra quelle sulle quali hanno indagato gli inquirenti, è che il DC-9 è stato abbattuto da un missile sparato da un aereo militare.
La prima verità su Ustica dopo il niente di fatto dei processi penali è stata decretata dalla Cassazione lo scorso gennaio: è “abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile”.
Lo Stato ha anche condannato se stesso a risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. Con buona pace di Giovanardi e dei sostenitori della  teoria della bomba a bordo del DC9. Ma se si è arrivati ad una prima verità è innegabile che i buchi da riempire sono ancora tanto grandi quanto lo è il mare che circonda l’isola di Ustica. I Ministeri della Difesa e dei Trasporti sono stati condannati perché "non garantirono la sicurezza del volo e depistarono l'accertamento dei fatti", si macchiarono di “omissioni e negligenze”.
La presenza di altri aerei nei cieli quella sera è data per certa, quanti e quali impossibile saperlo.
Alle 20:58 prima che sparisse il segnale, in una conversazione tra due operatori radar a Marsala si sente: “... Sta' a vedere che quello mette la freccia e sorpassa!”
Nel 1988 durante la trasmissione televisiva “Telefono giallo”, un anonimo chiama in diretta e si qualifica come aviere in servizio al radar di Marsala. L’uomo afferma di aver esaminato le tracce radar e che “ci avevano ordinato di stare zitti”. Paolo Borsellino, aprirà un’inchiesta e durante gli interrogatori, tutti i militari in servizio a Marsala la sera del disastro, eccetto uno, riferiscono di non aver visto al radar ciò che avvenne nei cieli di Ustica.
Il muro di gomma si rompe con le dichiarazioni del maresciallo Luciano Carico: “mi soffermai su due aerei che scendevano perpendicolarmente verso Punta Raisi, ad un certo punto uno dei due venne a mancare”.

Il DC9 è  stato abbattuto all’interno di un episodio di una guerra aerea, da un missile.
Questa è l’unica verità. Forse un giorno sapremo se quel missile era americano, francese o addirittura italiano.
Cos’è successo realmente? Comporre questo puzzle è difficile: il Presidente del Consiglio dell’epoca, Cossiga, nel 2007 (dopo 27 anni! ) sostenne la tesi del “missile francese” destinato ad abbattere l'aereo su cui si sarebbe trovato Gheddafi che “si salvò perchè il Sismi, appresa l’informazione, lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro”. Misteri su misteri ed il Mig libico ritrovato in Calabria il 18 luglio successivo non fa altro che aumentare i sospetti, oltre alle  innumerevoli incongruenze registrate nella vicenda dopo il ritrovamento.
L’autopsia sul corpo dell’aviatore rileverà che si trattava di un cadavere in stato di decomposizione avanzato da circa venti giorni, tanti quanti ne erano passati dal disastro aereo.
Il medico cambierà improvvisamente idea e l’inchiesta sull’aereo ritrovato verrà chiusa in fretta e in furia circa dieci giorni dopo il ritrovamento.
Il 2 luglio 1980 il Consolato libico a Palermo pubblica un particolare necrologio e gli interventi e le dichiarazioni di Gheddafi si susseguiranno sostenendo che gli Usa, nel tentativo di abbattere il suo aereo, avrebbero preso un tragico abbaglio colpendo l’aereo italiano e uno libico.

Perché le operazioni di recupero iniziarono con 7 anni di ritardo?
La ditta francese, Ifremer, che concluderà le operazioni di recupero dopo un anno,  verrà accusata di essere legata ai servizi segreti d’Oltralpe. Tra i vari resti verranno trovati anche cose che non appartenevano al DC9, 2 salvagenti ed una sonda metereologica.
Un serbatoio supplementare di un aereo militare venne trovato, nel 1992, durante la seconda operazione di recupero (5 anni dopo la prima) da parte di una ditta inglese.

Perché la sera del disastro a tutti gli aerei militari che si muovevano nello spazio percorso dal DC9, fu impartito l’ordine di spegnere il transponder che avrebbe consentito la loro identificazione?
Perché sostenere con forza (soprattutto da parte dell’Aeronautica militare) l’illogica ipotesi alternativa della presenza di una bomba a bordo?
Queste e tante altre domande ancora oggi aspettano risposta, a trentatré anni di distanza.
 Ad oggi ci resta solo una piccola verità, il dolore e il ricordo. Non solo il 27 giugno di ogni anno, ma ogni giorno: un ricordo tangibile, che, per chi, come me, nel 1980 non esisteva, è possibile vivere e affrontare nella città in cui DIECI e VENTICINQUE è nato, Bologna, grazie al Museo per la memoria di Ustica, allestito nel 2007. Un museo che consente a chiunque di mantenere vivo il ricordo, e trasformarlo in impegno: per un paese più giusto, senza più segreti .

1 Scena finale del film "il Muro di Gomma" diretto da Marco Risi, dedicato alla strage di Ustica.