"La Costituzione deve essere considerata, non come una legge morta, deve essere considerata, ed è, come un programma politico.
La Costituzione contiene in sé un programma politico concordato, diventato legge, che è obbligo realizzare".
Piero Calamandrei

mercoledì 31 dicembre 2014

Buon 2015 (o meglio, buon 2014bis)

Le parole e gli auguri non cambiano, ma in fondo, lo sappiamo, ogni anno fa storia a sè.
E forse di cose da raccontare ne avrei tante per quest'anno che se ne va. Molte più rispetto agli altri anni trascorsi: La mia laurea (e la bellezza) su tutto, l'arriverderci a Bologna, Menfi e la Sicilia e poi  "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti", che significa tanto.

Per questo, caro 2014, ti lascio con un pizzico di amarezza (io, non l'Italia). Ma si sa, l'augurio è che il nuovo anno sia migliore di quello che sta passando. Un po' di retorica, è vero. Come è vero che forse non è mai esistito un anno così ben riuscito da pretendere, o meglio chiedere, il bis.
Almeno per me.

martedì 23 dicembre 2014

Buon Natale

E’ Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese
C. Bukowski


mercoledì 17 dicembre 2014

"L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti". Ci siamo, finalmente.

Ci siamo, finalmente.
Adesso lo porto un po' in giro per l'Italia, tra un mesetto in libreria.



Il primo appuntamento è qui, a Palermo, al festival di Legambiente.


Maggiori informazioni (qui) sul sito www.eucaristiamafiosa.it


L'e-book di Caracò per Pino Maniaci



Caracò editore ha deciso di esprimere solidarietá a Pino Maniaci con questo e-book scaricabile gratuitamente, dopo gli atti intimidatori che hanno colpito lui e la redazione di Telejato.
All'interno anche un mio contributo, insieme ad un inedito di Massimiliano Perna ed il testo di Santina Giannone tratto dal libro "La giusta parte".

"Raccontare, in poche pagine, la storia di Pino Maniaci è difficilissimo. Riassumere la vita e l’impegno di Telejato e della famiglia Maniaci è un dovere. C’è una storia che Pino racconta sempre, riguarda il doppio nodo della sua cravatta. Un doppio nodo che ogni giorno gli ricorda chi e cosa vuole lottare. Gli autori coinvolti hanno raccontato il lavoro di Pino e Telejato, attraverso anche il loro legame personale e professionale con questa piccola televisione di cui l’operato non può essere offuscato. Vogliamo essere presenti e accanto fino a quando questa informazione giusta e quest’uomo possano continuare a “scassarelaminchia”, rifiutare la violenza nei confronti della Bellezza, rifiutare le ferite al corpo della società civile. Vogliamo dare voce a questa storia che non può essere sotto il mirino del male, ma deve continuare a insegnare Bellezza e verità. Pino Maniaci è l’esempio e bisogna ricordarlo ogni giorno che esiste Telejato, esiste la luce di un pino col doppio nodo".

Scaricate l'e-book (Qui), diffondete e firmate la petizione (qui) che ha raccolto più di 25.000 firme in meno di una settimana per chiedere alla Commissione Nazionale Antimafia di ascoltare Pino Maniaci per "illustrare" un'inchiesta che porta avanti da un anno e mezzo e di cui nessuno parla: quella sulla gestione dei beni sequestrati.

giovedì 11 dicembre 2014

La mafia dell’Antimafia. Lo facciamo esplodere il bubbone?



Questa è la sintesi dell'inchiesta condotta da Telejato su beni sequestrati e confiscati alla mafia in Sicilia. Due dati:

I beni confiscati sono circa 12.000 in Italia; di questi più di 5000 sono in Sicilia, circa il 40%. La maggior parte nella provincia di Palermo. Si parla di un business di circa 30 miliardi di euro, solo qui a Palermo. Questi beni sotto sequestro vengono affidati a un amministratore giudiziario scelto dal giudice del caso, che dovrebbe gestirlo mantenendolo in attività e tenerlo agli stessi livelli che precedevano il sequestro.

Il 90% di imprese, aziende, immobili, finisce in malora spesso prima ancora di arrivare a confisca.

Pino Maniaci, dopo gli atti intimidatori indirizzati a lui e a Telejato continua il suo lavoro e chiede di essere ascoltato in Commissione Nazionale Antimafia

Firma qui la petizione per far udire Pino Maniaci in Commissione Nazionale Antimafia

mercoledì 3 dicembre 2014

mercoledì 26 novembre 2014

Il nuovo mensile di DIECI e VENTICINQUE


“L’origine mitica della cultura latina della grande Roma, che ha il suo massimo cantore in Virgilio, è generata dall’arrivo sui lidi italici di un rifugiato politico, Enea. Perché cos’altro fu Enea se non un rifugiato in fuga da una guerra perduta per salvare la sua gente? E la sua lunga peregrinazione che lo portò di luogo in luogo fin da noi, che cosa fu se non una migrazione con i “barconi” a remi e a vela di allora? La leggenda fondativa della nostra civilizzazione nasce dal meticciato di un rifugiato politico migrante, con un’autoctona italico-latina. E se cerchiamo altre radici costitutive, incontriamo il poema omerico di Odisseo, viaggiatore incessante, eroe vittorioso che diventa rifugiato-migrante e non smette di viaggiare con Dante secoli dopo e con Joyce, dopo altri secoli a seguire. Se fossero stati varati provvedimenti restrittivi ai suoi spostamenti, non avremmo avuto l’Odissea.” Moni Ovadia  

martedì 18 novembre 2014

PIZZINI - Parole contro le mafie


PIZZINI - Parole contro le mafie

di Nini Ferraracon Nini Ferrara e Danila Massimi (percussioni e voce)
I Pizzini della Legalità sono una gemma di Salvatore Coppola. Una tra le tante. Sono stati pubblicati per la prima volta dopo la cattura di Bernardo Provenzano, che dei pizzini - un tempo bigliettini di parole ancora proibite tra giovani amori o amanti - aveva fatto il mezzo di elezione per comunicare con la moglie, i figli e con "la famiglia". Salvatore Coppola ebbe l’intuizione di farne uno strumento di testimonianza e denuncia degli anni di violenza e di morte inflitti da un sistema mafioso che sempre più sottilmente penetra non più solo la Sicilia, ma la società intera. Raccontando dentro i suoi pizzini storie vere, grondanti la freddezza del dolore, ché così è il dolore che si incide, né mai passa, - da Felicia Impastato a Rita Atria, da Gaetano Costa a Libero Grassi, dalla strage di Pizzolungo all’omicidio Terranova – i Pizzini della Legalità sono divenuti il veicolo di una cultura che si oppone ad ogni logica criminale e che unica può condurre a conoscere, a distinguere, a scegliere.. 

http://www.teatrolesedie.it/pizzini.html

martedì 11 novembre 2014

mercoledì 5 novembre 2014

"Non è successo niente", il nuovo mensile de I Siciliani

Raramente questo Paese è stato così diviso com’è ora. Non c’entra la geografia e manco la politica, che a questo punto è ri­masta molto indietro. La spaccatura è secca e bruta, alla Bava Beccaris, fra una plebe e una Corte. Disoccupazione al 12,5 per cento, ma “in netto rialzo Piazza Affari”. Persi, fra i 25 e i 34en­ni, due milioni di posti di lavoro: ma non scemano affatto i con­sumi di lusso. Siamo, teoricamente, al terzo governo “risolutivo” ma la governanza reale, in realtà, è da tempo passa­ta in altre mani.



martedì 28 ottobre 2014

Ciao, Licchia



Ed è doveroso e giusto condividere l'invito di Rino Giacalone al sindaco di Trapani perché dedichi una piazza o una via all’editore con la “coppola” scomparso esattamente un anno addietro.

mercoledì 22 ottobre 2014

"Andrea torna a Settembre"...sabato a Sciacca



Presentazione del Libro di Alessandro Gallo, “Andrea torna a Settembre”. 
Sciacca, sabato 25 ottobre ore 18
L’evento è organizzato dalla Consulta Comunale Giovanile di Sciacca
La presentazione del libro avverrà sabato 25 Ottobre 2014 alle ore 18 presso Il circolo di cultura di Sciacca i cui locali sono situati sul Corso Vittorio Emanuele di fronte la Piazza Angelo Scandaliato
Dialogherà con l’autore Dorotea Todaro (membro del direttivo della Consulta Giovanile di Sciacca). Introduce il giornalista menfitano Salvo Ognibene.

Dopo il successo di Scimmie, 5.000 copie vendute e centinaia di giovani lettori stregati dalle storie di Pummarò, Panzarotto e Bacchettone, Alessandro Gallo torna con un nuovo romanzo e una nuova indimenticabile protagonista: Andrea.
Un appassionante romanzo ambientato tra la Campania e la Sicilia: da Castelvolturno e la Terra dei fuochi, territorio di camorra e rifiuti tossici, a Pozzallo e il ragusano dalle belle spiagge dove ogni anno sbarcano centinaia di migranti.
Un romanzo che intreccia la tematica della criminalità organizzata a quella dell’immigrazione e che promette di appassionare i lettori più giovani, e non solo.
Andrea è una donna che urla, bacia e guarisce tutti. Una donna che si spoglia davanti agli uomini e davanti al mare, pur di non rinunciare alla libertà e alla bellezza dell’esistenza. La macchia di un’umanità che vive ovunque e dentro chiunque lotti con tenerezza, forza e rabbia per la vita.

Da Castelvolturno a Pozzallo, una storia d’amore e di amicizia che si scontra contro le piaghe della criminalità organizzata e con i drammi dell’immigrazione. 

lunedì 20 ottobre 2014

Grazie, Bologna



Foto scattata dopo la partita di Eccellenza FIORANO - CROCIATI NOCETO, 
con Emanuele Spagnolo e Michele Del Rio.


La mia prima e ultima partita di questa stagione in Emilia Romagna, dopo le cinque vissute a pieno ritmo negli anni scorsi.
Giornate piene di emozioni (e un po' di commozione, non lo nascondo). Sabato al raduno regionale, e ieri in campo, non è stato facile. È stato bello come questa famiglia che mi ha adottato da quando ho messo piede a Bologna. Queste poche righe per ringraziare la "mia" sezione e il Comitato Regionale che mi hanno dato gli strumenti e le forza per crescere nella vita prima, e in campo poi. Grazie a tutti quelli che non nomino in queste righe (e anche se sono in troppi, sono sicuro che capiranno) ma che ho avuto vicino in questi anni.
Certo, dovrei anche dire molto altro ma mi basta ringraziare tutti. Vero é anche che avrei molto altro da dire su Bologna e se ho voluto soffermarmi sull'aspetto associativo e bello dell'arbitraggio é perché questa sezione é stata la mia prima casa bolognese ed é quella che mi ha permesso di costruire qualcosa di importante sotto le due torri e di regalarmi degli anni così belli.
Non finirò mai di ringraziare Bologna per questi anni, anche perché, non saprei da dove iniziare. Ci ho provato in queste righe scritte di getto dopo la mia laurea, e rileggerle trasmette sempre più la bellezza che ho avuto intorno in questi anni.
Scriverò di Bologna e di cosa é stata ed è per me, ma non oggi.

Ci vediamo in Sicilia!

martedì 14 ottobre 2014

Menfi è il suo vino


Menfi, in realtà, è anche il suo mare, e tante altre cose. Il mare per noi, il vino per gli altri, le tradizioni per i libri di storia che ogni tanto rivivono e prendono vita in questo incredibile pezzo di Sicilia occidentale. Un piccolo paradiso terrestre (guarda qui le mie foto ) sconosciuto ai più, a tutti quelli che conoscono il suo vino.
Situata tra i fra i templi di Selinûs (la colonia greca più occidentale della Sicilia) e l’area degli scavi di quella che fu Heraclea (la città riportata nelle orazioni scritte di Cicerone) è stata fondata da Diego Tagliavia Aragona Cortes tra il 1636 e il 1638 anche se la sua storia, e quella del suo vino, inizia molto prima.
Prima dei Greci, i Sicani avevano già costruito fortezze e villaggi. Le loro principali città erano Inyco e Camico poi assorbite tra il V ed il VI secolo proprio dalle colonie greche.
Durante lo scontro tra Selinunte e Cartagine, intorno al 400 a.C., il territorio menfitano, posto al confine, fu teatro di battaglie e pare che proprio in questa zona sbarcarono i Saraceni ed è qui che si stanziarono i Berberi. Nel 1238 Federico II di Svevia fece costruire il castello di Burgiomilluso (borgo dall’abbondante acqua). 
Dopo la Pace di Caltabellotta (31 agosto 1302) gli angioini attaccarono il castello inutilmente e successivamente la proprietà passò nelle mani dei Ventimiglia prima, e dei Tagliavia poi.
Fu così che sotto la dominazione spagnola, dopo la scomparsa dei musulmani, Carlo V fece costruire un casale nel territorio di “Menfrici” e nel 1583, per scongiurare l’invasione turca, Filippo II, ordinò la costruzione della torre di Burghetto, a Porto Palo. 

E pare, che proprio quella torre, era raggiungibile, grazie ad un tunnel sotterraneo direttamente dal castello, talmente grande e spazioso da farci passare un cavaliere a cavallo. Voci di paese e di qualche testimonianza senza nome anche se, non esistono documenti che affermano l’esistenza di questo tunnel, vero è anche che nessuno ha mai provato a cercarlo…e proprio a Porto Palo, probabilmente, vi era un emporio fenicio. Di certo in epoca recente, venne trovata nei suoi fondali, un relitto di una nave romana del II sec a.C. piena di anfore ed altri antichi reperti.
Soltanto nella prima metà del 1600 iniziò la costruzione del nucleo urbano grazie a Diego Aragona Tagliavia Pignatelli, che istituì il contratto enfiteutico con il quale affittò la terra ai coloni e nello stesso periodo fece costruire il palazzo che porta il suo nome (dove è stata rinvenuta una necropoli pavimentale risalente al V-VI secolo) e la Chiesa della Madonna delle Grazie.
Il nome Terre di Menphis sostituì quello di Burgiomilluso ed entrò a far parte del Principato di Castelvetrano fino ai primi anni dell’800, quando, con l’abolizione del feudalesimo, entrò a far parte del regio demanio e inclusa nella provincia di Agrigento. 
È nel 1813 che il Comune prende il nome, attuale, di Menfi. Grazie alla fiorente economia e alle notevoli quantità di prodotti esportati vengono costruiti la ferrovia che collega a Castelvetrano e l’imbarco doganale di Porto Palo, rendendo Menfi libera e indipendente, anche da quella che era la vicina “Aquae Labodes” e che proprio in quegli anni divenne Sciacca. 
I menfitani furono favorevoli al progetto di Garibaldi tant’è vero che in molti lo seguirono nella sua impresa e pare che l’eroe dei due mondi avesse intenzione di sbarcare proprio qui, a Porto Palo, con i suoi mille garibaldini prima di cambiare rotta e fermarsi nel porto di Marsala a causa della presenza di navi borghesi nel porto belicino e il probabile avvistamento dalla torre saracena che domina a vista il mare sud occidentale. Nel 1968 il paese e tutto l’hinterland belicino vengono colpiti dal terremoto, nono grado scala Mercalli. Questo ha danneggiato buona parte del centro abitato, anche se, ha subito danni certamente inferiori rispetto agli altri paesi terremotati. La ricostruzione ha portato ad una notevole espansione del paese anche se la scelta politico-economica-strategica è stata decisamente infelice. 

La città si è espansa verso la città stessa e non verso il mare. La ricostruzione ha portato all’agglomerato e non all’apertura territoriale.
Pare sia la robusta presenza massone (almeno tre le logge ufficiali e riconosciute: Inyco, I Figli di Hiram e Leonardo Cacioppo) a far da cornice e a tenere lontani, paradossalmente, investimenti e turismo. Del resto le frange di massoneria deviata da sempre hanno influito pesantemente sulla società menfitana. In un’intercettazione telefonica contenuta nell’inchiesta Scacco Matto e oramai divenuta famosa veniva definita “forte, forte, fortissima” che coinvolge persone “più potenti dei ministri”. Senza dimenticare che fonti confidenziali e investigative hanno riferito che Matteo Messina Denaro abbia scelto proprio la “piccola Parigi” come base strategica per gestire il suo potere. Ma questa è un’altra storia.
Menfi è il suo vino, dicevamo. Già durante la colonizzazione greca era conosciuta per il buon vino ed è proprio qui, che, oggi, troviamo una delle migliori realtà cooperative a livello europeo. La Cantina Settesoli, motore economico e sociale del paese, è il primo produttore per dimensioni della Sicilia. Ma non è la sola. Di fatti, tra i vari produttori vinicoli, se la Settesoli esprime la maggiore forza sui numeri (con una produzione di 24.920.000  di bottiglie nel 2013), il vino, con l’esclusivo profumo di frutta e agrumi, é il vero protagonista del territorio. 
Oltre 2.000 soci coltivano il più grande vigneto d’Europa: 6.000 ettari di terreno, 26 cultivar di uve diverse coltivate per un totale di 559.823 quintali di uva raccolte nel 2013. Dagli autoctoni, per citarne qualcuno, Inzolia e Nero d’Avola agli internazionali Chardonnay e Merlot su tutti. Ma anche gli sperimentali Sauvignon Blanc, Alicante Bouschet ed altri.
La vendemmia inizia con la raccolta del Pinot Grigio e si conclude con il tipico Grecanico. Si vendemmia prevalentemente a mano, per un buon 60%, nonostante l’avvento delle macchine vendemmiatrici. Proprio a testimoniare la voglia e l’amore dei viticultori per il loro raccolto, dove la cultura, e la coltura, del vino rappresenta un senso di appartenenza al territorio, la vendemmia continua ad essere, ancora una oggi, un momento importante, una festa da trascorrere tra amici e parenti.
Cantine Settesoli é più che un’azienda vinicola. É la storia, l’amore dei suoi soci per la terra, per il vino:  4 stabilimenti, 25 milioni di bottiglie all’anno, più di 55.000.000 di euro di fatturato (nel 2013) ripartito per il 70% all’estero (in più di 30 paesi) e per il restante in Italia. La cooperativa, fondata da 68 soci, nasce il 21 dicembre 1958 (la prima vendemmia è del 1965) e il nome pare venga in prestito dai sette mesi di sole che, da marzo con la ripresa vegetativa della vite e la nascita delle gemme, portano a settembre alla raccolta dell’uva. Vero è anche che il 1958 è l’anno della pubblicazione de “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che proprio nel libro vincitore del premio Strega parla proprio del “feudo Settesoli. E questa non è certo una coincidenza.
Menfi (12.739 abitanti, di cui 2.274 vivono all’estero mantenendo la doppia cittadinanza) conta la bellezza di circa dieci produttori di vino (guarda qui). È nella  “Costa d‟Africa” di Sicilia, che si espande una distesa di vigneti che si lasciano accarezzare dal profumo del mare e cullare, dall’alba al tramonto, da quei colori che non lasciano spazio all’immaginazione talmente sono veri e belli.
È la profondità dell’ombelico del mondo. Nel mediterraneo e nella Sicilia. Nella storia e nella cultura.
Seppure l’agricoltura e l’economia menfitana si basano abbondantemente sul vino, non sono da sottovalutare la coltivazione del carciofo spinoso di Menfi, in particolare, che dal 2012 è entrato a far parte del prezioso mondo dei Presidi Slow Food e dagli 850 ettari di distese di ulivo. Prevalgono le tre cultivar locali: Bianco Lilla,  Nocellara del Belice e Cerasuola.
Oltre le produzioni private di cui godono quasi tutti i menfitani sorge la cooperativa agricola “La Goccia d’Oro” che riunisce 1.100 soci produttori di Olio Extra Vergine di Oliva.
Menfi è il suo mare, situata tra le foci dei fiumi Belice e Carboj, dalla piazza Vittorio Emanuele in alcune giornate si scorge Pantelleria. 18 bandiere Blu (dal 1998 ininterrottamente) conquistate da quei 10 km di spiagge che si affacciano sul mediterraneo e che hanno conquistato la bandiera Verde 2014.
Le spiagge che si alternano tra varietà sabbiose, ciottoli bianchi e dune che ricordano quelle del deserto, sono dominate dal giglio di mare, e da cui è facile godere di tramonti spettacolari e albe mozzafiato. Per i più fortunati vi è la possibilità di incrociare la tartaruga del mediterraneo Caretta Caretta che in certe notti d’estate va a deporre le sue uova lungo il litorale menfitano. È qui che la natura regala il meglio di sé, cambiando continuamente i propri colori, soprattutto nella stagione estiva.
Si narra che proprio in questa zona trovò rifugio Dedalo dopo la sua fuga da Creta. Secondo la leggenda, Cocalo ospitò Dedalo e poi, le figlie del re sicano, lo aiutarono ad uccidere Minosse.
Questo e molto altro si racconta ma il mito rivive da agosto ad ottobre, durante la vendemmia e durante Inycon, la conosciuta festa del vino nata nel 1996, Bacco pare tornare e aggirarsi tra i vigneti di Menfi. E qui, forse, la leggenda c’entra poco tanto è vera la vita tra le strade della città del vino.


lunedì 6 ottobre 2014

Menfi chiede al Ministero dell'Ambiente di dichiarare l'incompatibilità ambientale dell'attività di ricerca di idrocarburi nel Canale di Sicilia!


Il Comune di Menfi si oppone fermamente all'istanza di Prospezione in mare denominata "d 1 G.P- SC" finalizzata alla ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nel Canale di Sicilia presentata dalla Schlumberger italiana S.p.A. al Ministero dello Sviluppo Economico in data 30 Aprile 2014 e per la quale la stessa Società, nel mese di agosto 2014, ha comunicato ai Comuni costieri delle Province di Trapani, Agrigento e Caltanissetta di aver trasmesso al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare l'istanza per l'avvio della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. 
L'attività soggetta alla Valutazione di impatto Ambientale riguarda l'acquisizione di dati geofisici, in particolare è prevista un'indagine geosismica  su un'area di 4.209 kmq utilizzando la tecnica dell'air gun. L'area di detto permesso di ricerca, nel suo punto più prossimo, dista dalla costa circa 28 miglia nautiche (51 km) da Licata nel vertice dell'area a nord-est, circa 14 miglia nautiche da Pantelleria a ovest e 24 miglia nautiche da Linosa a sud dell'area. 
Di intesa con gli altri Comuni interessati e nella fattispecie con Castelvetrano, Campobello di Mazara, Licata e Palma di Montechiaro, L'Ufficio tecnico comunale ha predisposto una dettagliata Relazione, argomentando le osservazioni ed opposizioni che sono state sottoscritte dall'Assessore all'Ambiente Ing. Rosa Letizia Maria Sanzone  e trasmesse ai Ministeri di competenza, alla Regione Sicilia, all'Ente proponente e per conoscenza agli altri Comuni.
Venerdì 10 ottobre rappresentanti dell'Amministrazione Comunale parteciperanno all'incontro di coordinamento tra amministrazioni locali e associazioni per fermare le trivellazioni nel Canale di Sicilia. Tale incontro si terrà al porto di Licata sulla Rainbow Warrior, la nave simbolo di Greenpeace.

Fonte: Welcome to Menfi

mercoledì 24 settembre 2014

L’uomo vestito di bianco

rostango

Di Salvo Ognibene e Francesca De Nisi

 “Noi non vogliamo trovare un posto in questa società
 ma creare una società dove valga la pena avere un posto


   Mauro Rostagno è morto al buio. Un paradosso per uno come lui, che di mestiere riportava luce. Cercava di illuminare con le sue parole quelle verità scomode che troppo spesso rimanevano al buio in una Trapani crocevia di interessi politici, massoni, mafiosi. Una Trapani che aveva scelto consapevolmente. E lo rivendicava con orgoglio: “conosco questa terra più di voi perché voi ci siete nati, io l’ho scelta”.
   Non soltanto in Sicilia Mauro cercò di riportare luce: cominciò a farlo molto prima, quando decise che non sarebbe stato uno spettatore indifferente di ciò che gli accadeva intorno, al contrario avrebbe preso attivamente parte alla costruzione del mondo, o meglio dei mondi in cui fu cittadino. Cittadino in molteplici ruoli tutti differenti tra loro, ma tutti ricoperti con lo stesso carisma. Mille vite. Tutte affascinanti. Incredibilmente intense e sconvolgenti. Proprio dalle sue mille vite bisogna partire per cogliere a fondo l’essenza di un uomo che ha saputo costantemente reinventarsi senza vendersi mai.
   Per primo, ci fu il giovane cercatore. Sposatosi appena diciottenne, dopo qualche mese lasciò moglie e figlia e partì approdando prima in Inghilterra e poi in Germania, continuando a reinventarsi nel fare i lavori più umili per mantenersi. Rientrato in Italia, decise di proseguire gli studi a Milano e diplomarsi con l’ambizione di fare il giornalista. La sua anima di cercatore si mette a pulsare nuovamente e decide di partire, stavolta destinazione Francia. Ed ecco che scorgiamo i segnali di ciò che di lì a qualche anno sarebbe diventato: prende parte ad una manifestazione studentesca, viene arrestato e ritorna in Italia, a Trento, dove si iscrive alla Facoltà di Sociologia. Ed eccoci alla militanza politica, la seconda vita di Mauro, quella della presa di coscienza e della ribellione, quella delle urla, delle rivendicazioni sociali, delle scelte di parte.
   Nel 1966 diventa uno dei leader del movimento studentesco, lancia l’idea dell’ “università negativa”, una controproposta all’università tradizionale i quali insegnamenti erano espressione della classe dominante. Ecco la seconda vita di Mauro. Eccola esplodere con tutta la sua vitalità: ecco l’esempio lampante e pulsante dello spirito rivoluzionario che lo accaompagnerà per tutto il suo breve viaggio e che sarà capace di applicare ad ogni contesto nel quale sceglierà di voler agire. 
   Nel ‘69  fonda “Lotta Continua” con Adriano SofriGuido VialeMarco BoatoGiorgi Pietrostefani, Paolo Brogi ed Enrico Deaglio. La sua terza vita ha luogo a Palermo e si divide tra il suo lavoro come assistente alla cattedra di Sociologia e la diffusione del Movimento di cui diventa responsabile regionale. L’attivismo sociale di Mauro cresce esponenzialmente man mano che i giorni passano, il verbo della rivoluzione diventa per lui un Vangelo da portare a conoscenza della popolazione intera, tanto che decide di candidarsi alla Camera con Democrazia Proletaria. La chiusura di Lotta Continua nel ’76 non segna affatto la fine dell’attivismo politico e sociale di Mauro, che tornato a Milano si farà promotore dell’apertura del centro culturale “Macondo”. Un altro esempio di come Mauro trasformasse in diffusione, informazione e confronto tutto ciò con cui veniva a contatto.
   Ed ecco la sua quarta vita: forse la più misteriosa e affascinante perché ha come scenario l’India e come protagonista il passaggio dalla lotta esteriore a quella interiore, dalla ricerca materiale a quella spirituale.
   Mauro prende parte infatti alla Comunità Arancione di Osho Rajneesh, sposando una filosofia fondata sulla meditazione e il rifiuto delle religioni istituzionalizzate. È il momento di una ribellione silenziosa, un percorso interiore al termine del quale approderà di nuovo in Sicilia, per dare il via alla sua quinta vita, la più intensa e consapevole, la più matura e forte.
   Nel 1981 fonda la comunità Saman, un centro terapeutico specializzato nel recupero dei tossicodipendenti. “La gente arriva qua a pezzi, e noi la rimettiamo insieme” dice, predicando un metodo innovativo, che mette in risalto la persona nella sua specificità, non seguendo una strada preordinata perché “ogni essere umano è unico al mondo”. Anche in questo caso l’attenzione di Mauro per il mondo circostante si tramuta subito in azione propositiva, grazie alla sua costante capacità di cogliere l’attimo, di ricordarsi che non esistono altri tempi, altri mondi e altri spazi. Capacità che oggi ci permette di parlare di un tempo così breve in grado di racchiudere molteplici vite così intense.
   L’ambizione di fare il giornalista che lo aveva accompagnato all’inizio del suo viaggio prende vita: a metà degli anni ’80 tiene una rubrica per Radio Tele Cine, all’interno della quale inizia ad occuparsi di cronaca a 360°, trasformando ancora una volta l’idea in azione, il coraggio in contrasto quotidiano, la passione in concretezza.
   Inizia a rilevare le collusioni tra politica e mafia locale, facendo nomi e cognomi, spremendo al massimo la sua necessità di essere, non solo di assistere, ad un cambiamento in meglio della società.  Credeva nel giornalismo vero Mauro, quello genuino il cui compito è cercare la verità, diffonderla, svelarla. L’ennesimo tentativo di cambiare il mondo spronando se stesso, di smuovere la società, di scuoterla. Uno scossone. L’ennesimo scossone. L’ultimo. Se n’è andato al buio. Se n’è andato in silenzio. Lui che per tutta la vita ha urlato. Ancora si cerca verità nella sua morte, ancora mancano i nomi di chi ha provato ad eliminare tante vite in un colpo solo, di chi senza curarsene ha tentato di cancellare tutta quella forza.
   “Sono stato molte volte infedele alle mie idee, ma sempre coerente con me stesso”. Vivono, e sono mancia, poche parole che racchiudono la capacità di cambiare senza essere stanchi, senza tradire il proprio io. 

mercoledì 17 settembre 2014

Un decreto contro la mafia, e c’è chi fa finta di non sentire



«Non possono essere accolti coloro che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che con il loro comportamento provocano scandalo; coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici ed hanno avuto sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato».[1]

Il decreto dell’arcivescovo di Monreale(scaricalo qui), mons. Michele Pennisi, rappresenta un vero e netto spartiacque nel rapporto tra mafia e Chiesa. È il primo documento che ha la forza per intervenire, veramente, sia in modo formale ma soprattutto in modo sostanziale, a bloccare quel processo di “cattolicizzazione dei mafiosi”.
Aveva fatto scalpore, lo scorso anno, il decreto[2] del vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti, che vietava le pubbliche esequie ai soggetti condannati per mafia. Un documento rivoluzionario sul tema, che agisce post mortem, sempre che prima non si fosse verificato un pentimento (e quindi un ravvedimento) durante la vita degli stessi. Il decreto emanato da Pennisi, rompe, senza alcuno indugio, il rapporto tra mafia, Chiesa e quei “fedeli” che grazie alle confraternite riescono ad accaparrarsi quella legittimazione sociali derivante dalla presenza alle feste religiose.
Del resto, ed è bene ricordarlo, questo decreto è stato reso necessario dopo i fatti che hanno coinvolto la Confraternita delle Anime Sante di piazza Ingastone, a Palermo, e l’arresto del suo superiore, Stefano Comandè. Pregiudicato per droga e boss di “cosa nostra”, è stato arrestato il 19 aprile scorso, nel bel mezzo dei riti pasquali.
 Proprio poche ore prima dell’arresto, durante la solenne funzione religiosa del Venerdì Santo, Comandè portava in processione le statue del Cristo morto e di Maria addolorata. E ancora qualche giorno prima, accompagnava con il gonfalone della sua confraternita, il defunto boss Giuseppe Di Giacomo, freddato mentre stava rientrando verso casa. Un funerale di “mafia”, con gli onori del caso e nuovi e vecchi padrini dietro al feretro. In seguito a questi fatti e al successivo silenzio di Paolo Romeo, cardinale di Palermo (silenzio che dopo due settimane dall’arresto di Comandè comportava che questi manteneva ancora il posto di superiore della Confraternita delle Anime Sante), interveniva proprio Pennisi che durante un convegno a Monreale sull’importanza delle stesse confraternita in relazione al territorio asseriva:  «Tutti coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici non possono far parte di associazioni religiose, confraternite, comitati festa o consigli pastorali».[3] Due giorni dopo Pennisi firmava il decreto in oggetto e subito dopo la Curia palermitana  lasciava decadere Comandè dal suo ruolo di superiore della Confraternita che veniva sospesa a tempo indeterminato e affidata ad un commissario visitatore. Una situazione paradossale ma sicuramente non è la prima volta che vi siano delle commistioni di questo genere.
Per fare alcuni esempi in terra di Sicilia si potrebbe citare il caso, avvenuto nell’estate del 2012, del boss Alessandro D’Ambrogio che con tanto di pettorina, utile per distinguere i confrati dalla massa, sfilava dietro la vara della Madonna del Carmelo nel quartiere di Ballarò, a Palermo. Una festa religiosa che a Palermo, é seconda solo a quella della “Santuzza”, di Santa Rosalia. In questi due anni, D’Ambrogio, 40 anni e una condanna definitiva per associazione mafiosa, è tornato in carcere nel corso dell’operazione Alexander e proprio pochi giorni fa, mentre lui si ritrovava rinchiuso nella sezione 41 bis a Novara, la “Madonna” si è inchinata davanti al covo del boss, l’ agenzia di pompe funebri della sua famiglia. Ma se Comandè è stato rimosso dal suo ruolo di superiore ad
Alessandro D’Ambrogio, «nessuno l’ha ancora sospeso dalla confraternita di Ballarò. Anche il suo vice, Tonino Seranella, è un devoto speciale della processione di fine luglio, pure lui due anni fa spingeva la vara per le strade del popolare mercato palermitano».[4]
Sarebbe auspicabile un maggiore controllo sui soggetti facenti parte della Confraternita, anche richiedendo il certificato penale, se necessario. A differenza di quanto pensa monsignor Barbaro Scionti, parroco della basilica cattedrale di Catania,  che così rispondeva in merito alle infiltrazioni mafiose nel circolo di Sant’Agata: «Non siamo qui per cacciare la persone, non possiamo chiedere il certificato penale a chiunque chieda di entrare in un’associazione religiosa. La Chiesa non può imporre questi limiti, ma siamo chiamati a pronunciarci affinché i suoi membri siano dei buoni cittadini, rinnovando le coscienze e fissando delle regole che ci impegneremo a far rispettare».[5]
Quello delle infiltrazioni mafiose nelle Confraternite e la loro strumentalizzazione per fini diversi da quello del culto cattolico, non rappresenta però, l’unico fronte da arginare. Anzi, il problema é molto più complesso. Il decreto di Pennisi, così come quello di Raspanti citato all’inizio, rappresenta l’elemento quasi ultimo per porre fuori, definitivamente e veramente, i mafiosi dalla Chiesa. Sicuramente può svolgere una funzione deterrente per giungere al provvedimento più naturale che la Chiesa nazionale dovrebbe adottare e su cui ha perso tempo prezioso: la scomunica. Certo, le parole di Papa Francesco, forti e precise, non lasciano dubbi sull’incompatibilità religiosa ed etica tra la mafia e la Chiesa cattolica.
Rimangono parole però a cui nessuna diocesi, nessun parroco è tenuto a sottostare, così come accaduto in tutti questi anni. È arrivato il momento di trasformare le parole in azioni affinché non accadano più fatti[6] come quelli avvenuti recentemente in Calabria (e che per fortuna sono stati oggetto dell’attenzione dei media nazionali).
Urge, sempre più, un provvedimento che escluda, una volte e per tutte, i mafiosi dalla Chiesa. Provvedimento, che dia attuazione ai buoni intenti di Francesco e della sua Chiesa e che spieghi come cambiare l’ordinamento canonico ed ecclesiastico per evitare l’accesso dei mafiosi alla comunità ecclesiastica.
Del resto, nel corso degli anni, la varie Conferenze Episcopali, nazionale e regionali, hanno prodotto dei buoni documenti per sancire l’incompatibilità tra la mafia e la Chiesa. Per questi motivi non c’è più tempo per aspettare. E ce lo conferma la beatificatio di Puglisi quale martire della Chiesa, ucciso in odio alla fede. Proprio lui, non appena giunto nella sua parrocchia a Brancaccio, non perse tempo a sciogliere la Confraternita di San Gaetano per infiltrazioni mafiose e a mettere fuori i boss dalla comunità della Chiesa. Chiesa che ha continuato ad accoglierli e Chiesa che può dimostrare al suo popolo di aver sbagliato, prima, e di seguire l’esempio del suo beato, ora.
Applicando, semplicemente, il Vangelo.



[1] Michele Pennisi, decreto arcivescovo di Monreale, 05 maggio 2014
[2] Antonino Raspanti, decreto arcivescovo di Acireale, 20 giugno 2013: “che sia privato delle esequie ecclesiastiche in tutto il territorio della Diocesi di Acireale chi è stato condannato penalmente per reati di mafia, con sentenza definitiva, dal competente organo giudiziario dello Stato italiano, se prima della morte non abbia dato alcun segno di pentimento”.
[3] S. Palazzolo, Mafia nelle confraternite, Romeo tace e Pennisi attacca: “Fuori i collusi dalla Chiesa”, La Repubblica, palermo.repubblica.it/cronaca/2014/05/03/news/mafia_nelle_confraternite_il_vescovo_pennisi_all_attacco_fuori_i_collusi_dalla_chiesa-85096000/
[4] S. Palazzolo, G. Ruta, La Madonna si inchina al covo del padrino, processione shock tra i vicoli di Ballarò, La Repubblica, http://palermo.repubblica.it/cronaca/2014/07/29/news/la_madonna_si_inchina_al_covo_del_padrino_processione_shock_tra_i_vicoli_di_ballar-92633490/?ref=HRER3-1#gallery-slider=90944559
[6]Oppido Marmetina: “Inchino” della statua della Madonna davanti all’abitazione del boss Giuseppe Mazzagatti ed il seguente abbandono della processione da parte dei carabinieri.
San Procopio: La statua del Patrono si sarebbe fermata davanti alla casa del boss Nicola Alvaro. Successivamente, la moglie del boss, avrebbe versato la propria offerta in denaro.
Vibo Valentia: Il Comitato per l’ordine e la sicurezza ha disposto misure straordinarie, commissariando la processione dopo aver riscontrato, tra i portatori della statua della Madonna del Carmelo, soggetti vicini ad ambienti criminali.

lunedì 8 settembre 2014

Schiuse le uova di 22 piccole tartarughe sulla spiaggia di Menfi

Dopo una lunga attesa finalmente stanotte alle ore 00:15 circa si sono schiuse sulla spiaggia della zona Capparrina di Menfi, le uova di 22 piccole tartarughe della specie Caretta caretta (la tartaruga marinad’acqua salata più comune del Mar Mediterraneo) che erano state deposte circa 63 giorni fa.
Un evento eccezionale ed importante sia perchè le nidificazioni sono davvero rare nella nostra zona ma anche perchè la specie “Caretta caretta” è classificata nella Red list dell’IUNC tra gli animali ad altissimo rischio di estinzione.
Video realizzato da “Progetto Tartarughe Menfi”.
Alla luce della luna piena, che con molta probabilità ha dato una mano al verificarsi dell’evento, e delle torce dei pochi spettatori fortunati che erano lì per il monitoraggio del nido, le piccole tartarughe si sono fatte strada tra le forme della spiaggia fino a raggiungere il mare, dove passeranno il resto della loro vita.
Il progetto di monitoraggio, ideato e proposto da Angelo Napoli(WWF), ha visto la fattiva collaborazione di un nutrito gruppo di volontari dell’associazione OfficinAmbiente.
L’attesa per la schiusa non è ancora terminata: attese altri 30-40 esemplari.

Presumibilmente il nido è costituito da circa un centinaio di uova che potrebbero continuare a portare alla luce altri esemplari di Caretta caretta nelle prossime notti.
Per tale motivo, il monitoraggio del nido continuerà ancora fino al 10 settembre, quando, si spera, tutte le piccole tartarughe avranno raggiunto con successo il mare e inizieranno quel viaggio lungo e misterioso attraverso il Mediterraneo.
Al progetto, presentato da Angelo Napoli (rappresentante a Menfi delW.W.F. Italia) e sostenuto anche dal Laboratorio di Zoologia dell’Università degli Studi di Palermo, ScopriMenfi, gruppo AGESCI Menfi 1° e dal camping La Palma, hanno aderito e aderiscono numerosi volontari.

Fonte Comunali Menfi

mercoledì 3 settembre 2014

Mappatura Georeferenziata dei beni confiscati alle Mafie in Emilia Romagna


Dal sito del Master "Pio La Torre"


L’Emilia Romagna negli ultimi anni ha visto aumentare in maniera considerevole il numero dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata di stampo mafioso sul proprio territori. A seguito di questo incremento risulta urgente capire quanti essi siano e quale sia la loro entità.

Purtroppo, le informazioni rese disponibili dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati alle criminalità organizzata (ANBSC) sono molto parziali e poco approfondite: consistono infatti in dati statistici o numerici che non sono in grado di restituire informazioni sulla reale consistenza dell’immobile con un margine di errore che può spaziare da una cantina di pochi metri quadri all’attico di pregi, con una lista di variabili che potrebbe essere pressoché infinita. La mancanza di un quadro chiaro e aggiornato arreca due fondamentali conseguenze: la prima è rappresentata dalle enormi difficoltà che le amministrazioni incontrano nel gestire e riprogettare l’utilizzo di questi beni, la seconda, è il non remoto rischio di rendere vano il messaggio che si cela dietro l’utilizzo sociale di beni confiscati. Alla luce di queste riflessioni emerge la lapalissiana esigenza di un monitoraggio meno statistico a fronte di uno più pragmatico e fruibile dai diversi soggetti coinvolti che possa dare un reale quadro delle opportunità e delle criticità: è a seguito di questa necessità che nasce la mappatura regionale dei beni confiscati.

La mappatura qui presentata è frutto di un progetto realizzato dall’Arch. Federica Terenzi nel corso del Master in "Gestione e riutilizzo dei beni confiscati. Pio La Torre", e consiste in una mappatura georeferenziata realizzata integrando con una serie di notizie specifiche del bene (fotografie, dati catastali, eventuali pratiche edilizie che hanno interessato gli immobili, copia dei decreti di sequestro e di confisca) i dati ufficiali ed aggiornati che sono stati forniti dall'Agenzia stessa. A questo punto era necessario che questo strumento potesse essere messo a disposizione della collettività e con la Regione Emilia Romagna, che patrocina il nostro Master, si è pensato di caricare la mappatura sul loro sito. In attesa che la Regione predisponga una piattaforma ad hoc, abbiamo pensato di caricare la mappatura sul sito di Mafie e Antimafia.

Si tratta di un progetto, esempio di felice collaborazione tra Enti, di open data che utilizza dati ufficiali elaborati da una professionista che, accanto alla sua formazione di base, architetto, ha accostato la formazione di un Master specifico sulla Gestione e riutilizzo dei beni confiscati. Non si posso infatti trattare questi beni, senza conoscere il contesto sociale nel quale sono nati (criminale-mafioso), le dinamiche perverse che li hanno mantenuti in vita e le procedure che, dal sequestro, li hanno portati alla confisca definitiva. Il lavoro della mappatura ha dunque un duplice obiettivo conoscitivo: uno rivolto verso la cittadinanza che attraverso la conoscenza di quelle virtuose esperienze messe in pratica sul proprio territorio è in grado di comprendere la profondità dell’infiltrazione mafiosa e al contempo la resistenza messa in campo da tutti i soggetti coinvolti nei movimenti antimafia e nella promozione della legalità; il secondo è rivolto verso le istituzioni che potranno utilizzare questo lavoro come strumento di programmazione nell’amministrazione del territorio, creando virtuosi canali di comunicazione e collaborazione tra i diversi ambiti e settori.

La mappatura dei beni immobili confiscati in Emilia Romagna non è solo un fondamentale strumento per la promozione e diffusione della cultura della legalità ma, anche grazie al contributo della legge regionale n.3/2011, si pone come un vero e proprio strumento di progettazione e pianificazione del territorio, un’importantissima occasione di buon governo che può entrare a far parte sia dei programmi di pianificazione territoriale sia di quelli finanziari.

mercoledì 27 agosto 2014

Insegnare diritto a scuola? Sogno più che realtà



Insegnare “diritto” alle superiori più che una realtà è diventato un miraggio, o un sogno. Da qualunque punto d’osservazione ci si pone, purtroppo il risultato non cambia.
Ma cerchiamo di capirne i motivi e le difficoltà che si frappongono tra un neolaureato in Giurisprudenza e l’insegnamento stesso.
Il primo elemento è dato dal sovraffollamento della stessa cattedra (ora accorpata ad economia, per la quale occorre comunque abilitarsi). Infatti è la più ricercata tra le varie classi d’insegnamento: sia per l’elevato numero di domande, sia per i pochi posti disponibili. E la diminuzione della cattedre da riempire, rientra in quel piano di tagli e riforma della scuola che al posto di incrementare le ore di diritto nelle scuole, le ha diminuite.
Ora si potrebbe fare un commento politico sul tema in oggetto, ma si potrebbe anche analizzare il dato in relazione al grado di cultura e di responsabilità civile di questo paese.
Da sempre il Diritto e l’Educazione Civica costituiscono la spina dorsale per qualsiasi cittadino responsabile che abbia voglia di migliorare il proprio paese ( e questa dovrebbe essere la missione della scuola se ci pensiamo bene), ma ai governanti italiani pare non interessi molto avere dei cittadini educati civicamente. Con buona pace di Aldo Moro che nel lontano, ma non troppo, 1958 portò l’educazione civica nelle scuole.
Ma torniamo al neolaureato che sogna d’insegnare Diritto nelle scuole superiori.
Ad oggi, dopo aver sostenuto 26 esami di Diritto (per esperienza e conoscenza personale riporto la carriera base di un fresco laureato in Giurisprudenza all’Alma Mater Studiorum di Bologna), e uno di Economia Politica, il MIUR richiede, come requisito principale per produrre la domanda d’insegnamento e per il TFA, la certificazione di 48 crediti ottenuti per la classe di diritto e altrettanti per la classe di economia. Tolti i 9 già sostenuti obbligatoriamente (da sottolineare che non é insegnamento obbligatorio in tutte le altre facoltà di Giurisprudenza d’Italia) ne rimangono 39 da sostenere per il completamento dei crediti necessari all’abilitazione per l’insegnamento delle discipline economiche. Vanno conseguiti, in linea di massima, con l’iscrizione ai singoli corsi . A pagamento, ovviamente. E per la cronaca, ogni credito da sostenere costa in media 30 euro. Ma non è finita qui. Se consideriamo i 5 anni della laurea magistrale (con il vecchio 3 + 2 questa logica avrebbe avuto più senso), l’idea di sostenere l’ennesimo esame di Diritto, Pubblico in questo caso (classe d’insegnamento 019), metterebbe in dubbio la laurea stessa. In sostanza, o meglio, in forma, il MIUR richiede 12 crediti sostenuti in Diritto Pubblico senza riconoscere minimamente il valore di Diritto Costituzionale (classe d’insegnamento 018). Per i non addetti ai lavori si tratta sostanzialmente della stessa materia (formalmente diversa e non compatibile per via della denominazione non uguale) ma che a Giurisprudenza non viene insegnata a giusta differenza delle scuole di Scienze Politiche ed Economia, per fare un esempio. Ora é indiscusso che sia impensabile, nonché  indignante, il fatto di sostenere un esame, a pagamento tra l’altro, di Diritto Pubblico, per l’appunto. Un esame che un laureato in Giurisprudenza potrebbe/dovrebbe sostenere senza difficoltà e particolare studio date le nozioni base indicate nel programma d’esame.
Da notare, che al momento, nessuno aveva posto il problema. L’ha fatto il sottoscritto sollecitando la Scuola di Giurisprudenza di Bologna a fare il possibile per risolvere l’incompatibilità tra gli insegnamenti di Diritto Pubblico e Diritto Costituzionale ai fini del riconoscimento dei crediti finalizzati all’insegnamento del diritti nelle scuole superiori. In tutta risposta, nel giro di un mese, il Consiglio della Scuola, su proposta della sua Direttrice, la Prof.ssa Sarti, e dietro all’encomiabile lavoro della dott.ssa Gaia Fanelli, ha deliberato (lo scorso 3 luglio) in merito all’equivalenza dei crediti.
Adesso la palla passa all’Ufficio Scolastico Regionale, che valuterà circa l’ammissibilità della richiesta. Speriamo bene.